Per eterogenee ragioni storiche non permangono molte testimonianze documentarie della primigenia architettura certosina. Si è tuttavia concordi nell’affermare che le prime celle vennero edificate attorno a una sorgente, costituendo il nucleo originario del primo Grande Chiostro dell’Ordine, attorno al quale furono successivamente realizzate le celle dei monaci avendo come modello costruttivo le capanne in legno delle regioni alpine francesi. Ben presto, infatti, San Bruno fece costruire ‘solide’ abitazioni realizzate con tronchi degli alberi provenienti dalla vicina foresta del massiccio della Chartreuse, avendo particolare cura nella realizzazione delle falde inclinate dei tetti a causa delle copiose nevicate. Della primigenia struttura, eccezionale testimonianza è fornita da Guiberto di Nogent-sous-Coucy (altre volte Gilberto di Nogent), abate del monastero di Notre-Dame a Nogent. Nel volume “De vita sua sive monodiarum suarum libri tres”, infatti, egli informa i lettori che San Bruno andò ad abitare con i suoi compagni “sopra un ripido e terribilissimo promontorio” nel quale edificò “una chiesa” e un chiostro collocato nella parte destinata ai monaci sacerdoti, dando origine a un nuovo modello tipologico differente dal cenobio occidentale e dalla laura (o lavra) orientale. Guiberto, dunque, descrisse ciò che lo storico dell’architettura Carlo Perogalli definì l’ultima e più raffinata soluzione del processo plurisecolare dell’architettura monastica cristiana in Occidente, nella quale in un’unica realtà venne sintetizzato il modello della solitudine anacoretica con quello della vita monastico-cenobitica. Secondo Giovanni Leoncini la codificazione di un nuovo modello architettonico di chiostro fu determinato da ragioni funzionali connesse alle avverse condizioni metereologiche del luogo.

Evoluzione dei chiostri certosini

Dopo un primo periodo di assestamento, i monaci della Grande Chartreuse articolarono l’impianto planivolumetrico attorno a due chiostri con caratteristiche e funzioni differenti: il Grande Chiostro e il Claustro parvo, divenuto una sorta di zona filtro tra i differenti settori del monastero. Con il passare del tempo, il Piccolo Chiostro, si strutturò in forme ridotte, con un perimetro di circa 40 o 80 metri. Il Grande Chiostro, invece, si caratterizzò per l’ampio spazio attorno al quale si posizionarono le celle dei monaci che ben presto si codificarono come piccoli edifici autonomi, generalmente a due piani, con misure variabili tra gli 80 e i 120 mq. circa. Nei secoli successivi queste strutture raggiunsero dimensioni ragguardevoli: ai chiostri delle certose di Oujon, di Pomiers e di Vallon, con perimetro di poco superiore ai 120 metri, si contrapposero i chiostri della maggior parte delle case dell’Ordine, tra cui i monasteri di Pavia, di Firenze, di Padula e di Milano, con chiostri dal perimetro interno superiore al mezzo chilometro.
Funzione e trasformazione dei Grandi Chiostri

A cavallo tra XVI e XVII i Grandi Chiostri divennero luoghi privilegiati di espressione artistica, senza perseguire rigidi dettami decorativi o aprioristiche regole figurative. Nel medesimo periodo, molte certose diedero avvio ad un processo di sistemazione e trasformazione del Grande Chiostro, confermando lo sviluppò di soluzioni autonome, dipendenti dalla situazione economica e dall’assetto socio-territoriale nei quali ogni casa era inserita. Nel tempo i monaci certosini eressero Grandi Chiostri con le celle dei padri addossate alla galleria claustrale (es. Certosa di Pavia) o staccate e collegate alla stessa mediante un piccolo corridoio colonnato (es. Certose di Asti, di Pomiers, di Torino e di Pesio). In diversi casi furono realizzati chiostri misti, con entrambe le soluzioni architettoniche. Molto singolare fu il carattere adottato dalle certose castigliane, che influenzarono alcune certose dell’Italia meridionale. Nelle Certose di Padula e di Napoli, infatti, il Grande Chiostro fu costruito realizzando un pregevole colonnato sormontato da una galleria coperta, impiegata dai monaci per le passeggiate invernali e per lo “spaziamento”. Abbandonando la semplicità delle origini, il Grande Chiostro assunse funzione espressiva sempre più rilevante, venendo arricchito anche da imponenti apparati decorativi.
Ricostruzione 3D del Grande Chiostro

Indiscusso capolavoro monastico afferente al periodo di transizione tra Rinascimento e Manierismo Lombardo, il Grande Chiostro della Certosa di Milano rimane ancora oggi un bene architettonico pienamente da indagare e da valorizzare nelle sue istanze formali e figurative. Come attestano gli studi di Alessandro Barbieri sulle terrecotte del Grande Chiostro, in questi ultimi anni il modo accademico si è sempre più occupato di esso, talvolta applicandovi anche nuovi strumenti di indagine e di restituzione grafica quali riprese con scanner e termocamere montate su droni e costruzioni di modelli tridimensionali basati sull’impiego di tecnologie e software Rhino 7, ReCap, Blender, Cinema 4D, SketchUp, Autodesk 3ds Max e Maya. Essi non solo aiutano a leggere con maggior immediatezza i singoli volumi architettonici, ma talvolta ne favoriscono la comprensione all’interno di ben più complessi fenomeni urbani. Sebbene ancora in fase di realizzazione e implementazione, questi lavori hanno anche contributo alla diffusone della conoscenza della Certosa di Milano all’estero, partecipando al progetto internazionale “Architecture and urban landscapes of the second half of the twentieth century” che ha visto la partecipazione dei seguenti corsi ed eventi interuniversitari: History of contemporary architecture (prof. Ferdinando Zanzottera – Politecnico di Milano – Italia); Architecture history 1 (prof. Ferdinando Zanzottera – Politecnico di Milano – Italia); Arch Urban Scapes (prof. Vanessa Brasilero – Universidade Federai de Minas Gerais – Brasil); The place of art in architecture. «Art+Architecture» theory and project (prof. José Luis Chacón R. – Universidad de Los Andes – Venezuela); Urban, regional and metropolitan planning (prof. Alfio Conti – Universidade Federai de Minas Gerais – Brasil); Structural design 2 (prof. Luca Sgambi – Université catholique de Louvain – Belgique).
In mostra, dunque, ricostruzioni 3d e video di Veronica Daverio, Afran El Barashy, Giuseppe Mangiola, Mattia Massa, Riccardo Omacini e Davide Romanò.