

La mostra dei disegni di Sebastio in prigionia è occasione, in primo luogo, per ammirare le sue eccezionali capacità umane e d’artista. In una condizione nella quale avrebbe potuto cadere nell’apatia di una triste demoralizzazione o nella noia di un’inerzia fisica e spirituale, egli vive invece con intensità, difendendo energicamente tutte le proprie capacità di interesse per ciò che lo circonda. La speranza di uscir presto dal perimetro del filo spinato per tornare a casa, pur ignorando tempi e modi del proprio futuro, sveglia la sua curiosità, gli fa scrutare l’orizzonte.
Nicola Sebastio e le piramide oltre il filo spinato

Possiamo immaginare che, intravvedendo da lontano nel clima torrido e umido dell’Egitto il profilo delle piramidi, egli abbia avvertito un’eccitazione, un’ansia di libertà nutrita di voglia di conoscere. Ma Sebastio non pensa a fuggire. Sa che occorre essere pazienti per non perdere la benevolenza di chi lo ha imprigionato e che egli ha conquistato con le sue capacità artistiche, scolpendo in un materiale di scarto, la latta delle scatole dei cibi in conserva distribuiti nel campo, racconti figurati molto ben eseguiti, persino un presepe. Li ha inoltre gratificati ritraendoli con grande verismo, giocando su situazioni buffe e bizzarre inevitabili in una vita in comune, disegnando il comune luogo di prigionia. Ha costruito così con loro, nel rispetto dei ruoli, un clima di fraternità. Gli inglesi d’altra parte non sono crudeli, curano chi si deprime, e chiedono aiuto a lui per restituire ai compagni quel tanto di energia che è indispensabile per sopportare il clima e la durezza della situazione. Ammirano il suo talento, fanno in modo di coinvolgere tutti i prigionieri nella stessa emozione, consentono a Sebastio un minimo di condizioni più agevoli perché possa lavorare con serenità. Intuiscono infatti che l’artista non sta giocando, l’impegno che mette nelle sue realizzazioni è troppo serio per essere uno svago.
La fuga e il ritorno al campo di prigionia

Nicola Sebastio, ancora rinchiuso nel campo di prigionia inglese, vuole riempire la sua prigionia con un’esperienza eccezionale a portata di mano, costi quel che costi. Non è uomo ricco, forse in Africa non potrà più tornare. Ora invece ha le piramidi a due passi oltre il filo spinato. L’antico Egitto gli era sembrato un luogo e un tempo lontani quando lo aveva studiato in gioventù, affasciante e misterioso ma anche inavvicinabile. Gli avevano detto che le culture greca e romana avevano contratti debiti con quel mondo, ma le spiegazioni non erano state molto chiare. Decide dunque per la fuga, non per tornare in Italia, ma per vedere e studiare le piramidi. Ha i suoi momenti di difficolta e di panico, soprattutto quando lo ritrovano e lo riportano al campo dove, sorprendentemente, viene benevolmente riaccolto.
Sebastio esce ogni giorno per disegnare le tombe egizie

In Sebastio il direttore del campo riconosce qualche cosa di straordinario e, malgrado le reiterate fughe e i viaggi per riprenderlo e riportarlo in prigionia, lo comprende. Chiude un occhio anche per aver scavato un tunnel nella sabbia del deserto. Decide di lasciarlo uscire tutti i giorni per studiare e disegnare le tombe egizie e gli lascia vivere un’esperienza che probabilmente per gli inglesi e per gli altri prigionieri non ha la stessa importanza: camminare tra ruderi e incontrare beduini non è gran cosa. Per Sebastio, invece, è un’occasione che lo segna per tutta la vita, non perché apprenda un’abilità che in effetti già possiede, ma perché vive un’esperienza profonda, una singolare unità con gli autori dei dipinti e dei geroglifici egiziani che glieli fa sentire vicini, se non contemporanei però vibranti per un identico senso del mistero della vita la cui potenza, grazie a loro, si risveglia anche in lui. La sua concezione religiosa, la sua appartenenza alla fede cristiana non è toccata bensì potenziata, come accade quando due persone vere si incontrano desiderando di essere amiche: ambedue crescono in umanità. I disegni, gli acquarelli, le sculture su latta di Sebastio hanno dunque duplice valore: di espressione artistica, possibile anche nelle condizioni umanamente più dure, di senso religioso ritrovato in sé come apertura alla realtà del mondo e di tutti gli uomini voluti da un grande disegno divino.
Il presepe di Nicola Sebastio eseguito durante la prigionia (1943-1946)

In mostra anche il presepe realizzato da Nicola Sebastio, durante la sua prigionia in Egitto. Fu da lui riportato in Italia al termine del secondo conflitto mondiale e tenuto in bella vista nella sua casa fino alla morte nel 2005. Egli lo realizzò su richiesta del cappellano del campo e per la sua esecuzione impiegò le latte del mangiare che gli venivano portate dagli altri soldati. È nel suo genere un fragile e potente capolavoro composto da figure sbalzate in materiali di scarto, ricche di rimandi all’arte e insieme molto tradizionale, popolare anzi. Il suo doppio valore testimoniale, di documento di storia e di piccolo gioiello di moderna sensibilità artistica, lo rende invito affettuoso, a chi lo guarda, a rinnovare in ogni casa la tradizione del presepio familiare. Pur rimanendo aderente ai Vangeli canonici, Sebastio si ispira alla tradizione popolare, ai tardi racconti della vita di Gesù e ai testi apocrifi che forniscono una serie di elementi didascalici della Natività. Al centro lo scultore emiliano pone Gesù Bambino benedicente affiancato dalla Madonna e da San Giuseppe oranti. Più discosti l’asino e il bue, mai menzionati dai Vangeli, riprendendo un tema ricorrente nell’iconografia cristiana che allude al libro biblico del profeta Abacuc, nel quale è scritto: “Ti farai cono¬scere in mezzo a due animali”. Secondo tradizione Sebastio sbalza anche i Re Magi, originariamente connotati attraverso differenti cavalcature: l’elefante per Melchiorre, il cammello per Baldassarre e il cavallo per Gaspare. In sostituzione dei tradizionali pastori, sbalza un viandante con la bisaccia a tracolla e un fagotto legato a un bastone che porta sulla spalla, il cui vestito rappresenta un mix culturale e geografico: la veste-tunica di altri tempi qui si fonde con un moderno cappello tipicamente europeo.
Il presepe ed Eva Tea

L’esposizione del presepe di Nicola Sebastio è stata associata da ISAL alla ripubblicazione da parte dell’Istituto di un piccolo libro del 1931 nel quale l’autrice, Eva Tea, docente all’Accademia delle Belle Arti a Brera collegata alla Scuola d’Arte Sacra Beato Angelico di Milano, offre le premesse che, ritiene, possono stimolare chi da artista si accinge a realizzare, in piena libertà, un presepe interprete moderno del messaggio evangelico. Lei non descrive un presepe e non propone composizioni. Vuole stimolare la maturazione del gusto, della sensibilità e della coscienza religiosa in ambito familiare, in una gara cioè che crei so¬lidarietà ed emulazione tra le famiglie.